domenica, agosto 20, 2006

16 Agosto
Gli occchi della speranza

Ero decisa a scrivere tutto subito, ma poi ho preferito aspettare un pochino perche' avevo ancora il cuore appesantito dalla tristezza.
Siamo andate a trovare la moglie del fratello di mia zia e la sua bambina appena nata. Inizialmente mia zia era reticente nel portarmi all'ospedale ma poi ha cambiato idea.

Non sapevo cosa aspettarmi e continuavo a chiedermi, mentre il rickshaw sfrecciava fra la folla, se le condizioni della struttura mi avrebbero delusa o meno. Speravo, con il tutto il cuore, che la bambina ricevesse tutte le cure del caso.

Poi, eccoci arrivati davanti alla struttura. Noto subito un cartello grandissimo raffigurante un'infermiera e un bambino adagiato su un lettino mentre riceve delle cure. Si tratta di un disegno enorme.
Dopo aver attraversato il cancello, sulla destra scorgo un'ambulanza e leggendo il cartello mi accorgo che si tratta del servzio che si occupa dei "morti o malati non reclamati". Senza parole, seguo le due donne che mi accompagnano.
Un ragazzo ci viene incontro e ci fa strada.

Metto piede dentro l'ospedale e subito mi sento turbata dall'odore malsano che non posso definire. Mi guardo intorno e cerco di captare il piu' possibile per imprimerlo nella mia mente.
Mia zia si gira verso di me e di mi dice "questo e' l'ospedale dei poveri".
Mi sento a disagio ma voglio osservare con attenzione.
Ancora una volta tutti mi guardano straniti mentre attraverso i corridoi. Passiamo accanto a delle piccole stanze: all'interno delle infermiere, vestite con il tipico camice bianco e cappello ripiegato, scrivono sui dei quaderni. Accanto a loro ci sono degli armadi di legno e io mi chiedo se contengano medicinali.
Un'infermiera esce e mi osserva.
Per un attimo mi distraggo e poi entriamo in una camerata, che in realta' e' un corridoio adibito ai malati. Ci sono una ventina di letti e tutti danno verso le finestre aperte. Il caldo e' insopportabile, e anche l'odore.
I letti sono posizionati a poca distanza l'uno dall'altro. Le flebo sono legate ad un unico filo che attraversa tutta la stanza. Sul pavimento ci sono persone (forse in visita a parenti e amici), ciotole per il riso e altri detriti.
Capisco subito che le condizioni sono paurosamente precarie. Non soltanto il pavimento presenta angoli ammuffiti, i letti sono adagiati su ferri arrugginiti e le lenzuola sembrano essere li' da anni.
Non c'e' posto per tutti e molte mamme devono dividere il loro letto con i figli, intubati.

Lasciamo la stanza e attraversiamo un altro corridoio. Sono sempre piu' triste. Ingenuamente mi dico "voglio tornare qui un giorno e cambiare le cose". Sono pensieri di un'idealista e forse rimarranno solo parole ma non posso accettarlo.

Giungiamo finalmente nella camerata dove si trova la moglie di mio zio.
E' lunga e ci sono letti da entrambe le parti, separati da un piccolo corridoio per permettere il passaggio.
Anche qui ci sono persone ovunque e le condizioni sono precarie.
Vicino ai letti ci sono dei mobiletti in ferro arruginito e sopra altre ciotole per il riso.
Arrivano delle donne e distribuiscono altri contenitori. Poi vedo arrivare un grosso carrello con una pentolona di riso bianco.
E' l'ora della cena. Alcuni si alzano e si mettono in fila. L'addetta alla distribuzione versa il riso nella ciotola e un'altra versa sopra il condimento.
Riconosco il fratello di mia zia seduto su un letto sulla sinistra. Accanto a lui siede sua moglie, che guarda in basso e sorride teneramente.
Mi avvicino di piu' al letto e scorgo un esserino fra gli asciugamani e le lenzuola. Mi abbasso e mi sporgo per guardarla meglio: e' piccolissima, non pesera' neanche due kili. E' intubata alla meglio con una piccola cannuccia nel naso. Sulla testa dei cerotti formano una croce.
Sembra stia dormendo tranquillamente e le sue manine tenere e piccole formano dei pugnetti.
E' nata prematura ma nessuno sa ancora di quanti mesi poiche' la madre non sa di quanto fosse avanzata la gravidanza.
Osservo la mamma: e' visibilmente stanca ma ha un viso bellissimo. Mi saluta con un cenno e credo sia troppo esausta per farmi domande. Vorrei chiederle come si sente ma poi preferisco lasciarla in pace. Ha qualcosa negli occhi, un'espressione di timidezza e di forza che mi mettono a disagio.

Non riesco a fare a meno di guardami intorno e poi mi riconcentro sulla piccola. E' cosi' bella ed indifesa. La sua vita e' appesa ad un filo. Mia zia mi dice con rassegnazione "non si sa se vivra'". Non posso accettarlo. Se fossimo in una struttura piu' adeguata sono certa che starebbe bene.
Mi vengono le lacrime agli occhi ma cerco di ricompormi e non darlo a vedere.

Dopo qualche minuti ce ne andiamo e percorriamo il tragitto verso l'uscita. Sono attraversata da una sensazione di disperazione e di rabbia mentre guardo tutte queste persone. Poi pero' comincio ad ordinare le idee e a pensare da dove si dovrebbe cominciare per migliorare le cose..

1 Comments:

At 11:45 AM, Anonymous Anonimo said...

mamma mia ely che descrizione...mi sembra di aver visto quella bambina con i miei occhi... e anche la desolazione di un mondo tanto lontano dalla nostra capacità mentale... non è un'illusione volere un mondo equo in cui la vita sia vita...
ti abbraccio forte forte...franci

 

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