sabato, luglio 19, 2008

Vi informo che questo blog non è aggiornato da un pezzo.
Mi trovo sempre su: a little bit of everything

Ed ora anche su: The Move


domenica, agosto 27, 2006

24 Agosto
'' Questo e' solo l'inizio"

La difficolta' di mettere per iscritto le proprie impressioni durante un viaggio e' direttamente proporzionale alla profondita' di quest'ultime. Ci si rende conto subito se un'esperienza ti segnera' profondamente. E' una sensazione che si insedia nel piu' profondo dell'anima, dura forse pochi secondi e si manifesta in momenti particolari, quando si incontrano gli occhi di un bambino o il sorriso sincero di una ragazza.
Trovare la propria strada e' difficile ma, in un certo senso, sento di essere a buon punto.

L'impatto con una cultura cosi' diversa, e per molti versi ottusa, non e' dei piu' semplici. Molte volte provo l'istinto di arrabbiarmi, ma poi mi rendo conto che sarebbe inutile e non servirebbe a migliorare le cose. La frustrazione e' una sensazione alla quale dovro' abituarmi, se voglio fare questo lavoro.

La giornata che si e' appena conclusa e' stata ricca ed interessante. Durante la mattinata siamo andati (io e mio zio) a far visita ad una missione cristiana nella zona. Il padre missionario e' amico di mio zio da molti anni e lavora qui dal 1972.
La missione si trova in una zona verde e tranquilla della citta' ed e' composta da 2 edifici di 3 piani, con un giardino, un pozzo ed un orticello.
Padre Melli, un uomo sulla settantina con la barba bianca e due occhi svegli, ci ha accolto calorosamente e ci ha offerto una tazza di cha (the') all'interno del refettorio.
Qui il lavoro e' cominciato con l'assistenza ai portatori di handicap e la creazione di un'ospedale cristiano (ancora funzionante). Adesso ci si occupa dell'istruzione di una ventina di ragazzi (ai primi anni del college) e della piccola comunita' cristiana di Bogra (circa 500 persone).
Sebbene agli inizi i rapporto con le altre comunita' religiose non fosse dei migliori, adesso la convivenza e' tranquilla.
Padre Melli svolge un'attivita' di coordinamento e supervisione delle diocesi della regione e viaggia molto, soprattutto al nord, dove si trovano dei gruppi tribali di origini antichissime le cui condizioni sociali sono difficili (non sono integrati nella societa' e le loro terre vengono confiscate).
Mentre mi parla di queste tribu', che utilizzano ancora arco e frecce, sono sempre piu' incuriosita e presa dall'ammirazione per quest'uomo, sebbene non sia particolarmente devota. Ha scelto di entrare in seminario e di venire in Bangladesh per aiutare i piu' bisognosi. Parla correntemente in Bangla e la lingua tribale del nord.
Dopo aver gustato il cha ci fa visitare la piccola cappella allestita al secondo piano. E' una sala abbastanza grande da contenere 60 persone sedute sul pavimento. C'e' un piccolo altare in legno, un leggio e tutto il necessario per celebrare i riti. Padre Melli mi fa notare, all'ingresso della sala, una barca in legno stupendamente intagliata. Avvolge una piccola scodella contenente l'acqua santa per i battesimi e simboleggia il passaggio sulla barca del signore, compiuta con questo sacramento.
Mi dice di tornare a trovarlo perche' gli piacerebbe molto chiaccherare piu' a lungo di questo paese e della sua cultura.
Cosi', ce ne andiamo sotto la pioggia su un rickshaw troppo piccolo e in cerca di rulluini per la macchina fotografica...

Dopo pranzo comincia un'altra esplorazione. Siamo diretti a Lascari Para, il villaggio natio di mia zia e luogo in cui ancora vivono i suoi due fratelli.
Sono pochi km, una decina, ma ci vuole almeno un'ora, tra stradine di fortuna e ponti piccolissimi.
Il panorama e' affascinante: immense risaie, campi coltivati, fiumi e piccoli laghetti. Mio zio mi dice che, a causa del fatto che la pioggia e' stata scarsa quest'anno, le risaie accusano qualche difficolta'. Non e' una buona annata nemmeno per i pescatori di fiume. Penso che e' quasi paradossale, in un paese dove l'acqua causa tante disgrazie.
Mentre attraversiamo piccoli villaggi e paesini, posso ammirare le diverse fasi della produzione della juta: essicazione (in strutture a forma di piramide), macerazione (sulle imbarcazioni di bambu'), l'asciugatura (stendendo i fili sui ponti) ed il trasporto verso i bazar o altri punti di smistamento per essere lavorata.

Arriviamo finalmente alla casa del fratello di mia zia. Si trova in uno spazio dominato dai bambu' ed e' costruito in mattoni e lamiera, con un cortiletto d'argilla e fango. E' una casa ricca poiche' le altre sono tutte in argilla e bambu'.
Una volta scesa dall'auto, vedo arrivare il primo gruppo di curiosi. Ci seguiranno, raggiunti da altri, durante tutta la nostra visita. Mi circondano e osservano ogni mia mossa, in modo quasi maniacale.
Dopo aver visitato la casa dello zio, iniziamo la passeggiata attraverso il villaggio, con audience al seguito. Passiamo accanto a risaie, campi, fiumi. Qui tutto e' molto calmo e la vita scorre lenta.
Sono colpita dalla grandezza dei bambu' e mio zio mi informa che, qualche tempo prima, tutta la zona era dominata da una foresta enorme. Adesso le case d'argilla cominciano a spuntare qua e la'.
Ci avviamo verso la scuola e delle ragazzine in divisa blu e bianca ci vengono incontro.
La scuola e' composta da 3 edifici disposti a ferro di cavallo intorno ad un cortile. Maschi e femmine utilizzano 2 strutture diverse. Inizialmente vogliamo entrare ma poi ci accorgiamo che ci sono degli esami in corso e cosi' torniamo indietro.
Visitiamo le case di altre persone: in argilla e bambu', con cortiletti e piccole stalle per gli animali. E' quasi surreale, qui il tempo sembra essersi fermato.
Osservo con attenzione la cucina: una costruzione in legno di bambu' posizionata nel cortile. Al suo interno, in argilla, un buco nel terreno segna il punto di cottura. Qui e' stato posto, piu' in basso nel terreno, un ripiano di tubi di ferro. Si inserisce la legna da ardere in un buco laterale e si appoggiano le pentole su quello principale.
Accanto c'e' un pozzo, profondo una decina di metri.

Passeggiamo tra i bambu' e gli alberi di frutta e mio zio mi spiega di cosa si tratta.
La visita si conclude a casa di mio zio, dove ci rinfreschiamo con acqua delle noci di cocco e mango. Mentre mangiamo, il nostro pubblico continua ad osservarci fuori dalla porta.
Ripartiamo dopo qualche minuto e io penso soddisfatta ''anche oggi ho imparato qualcosa di nuovo.."


18 Agosto
''Bangla telenovela"


Sono stati giorni piu' rilassanti quelli che si sono appena conclusi. Il caldo insopportabile ci ha lasciato poche energie e personalmente mi sono limitata ad osservare i comportamenti della famiglia.
Il dramma famigliare della bambina continua ad essere al centro dell'attenzione. La piccola, alla quale verra' dato un nome ai tre mesi compiuti, e' stata trasferita in un'altra struttura, dopo che i famigliari si sono insospettiti quando hanno saputo di morti sospette di bambini nella struttura di cui ho gia' parlato.
Il trasferimento mi e' stato raccontato come se fosse stata un'avventura epica: mamma, papa' e cugini sono andati a recuperare la piccola e l'hanno portata via di forza. Questo a causa del fatto che le autorita' dell'ospedale non hanno voluto dare il permesso per l'uscita. Ho chiesto il motivo ma nessuno mi ha saputo spiegare.
Sono sollevata dal sapere che la piccola si trova in una struttura (spero) piu' adeguata e andremo a farle visita nei prossimi giorni.

Inoltre, sto scoprendo piano piano le mille problematiche culturali e famigliari. Ormai tutti i vicini sanno della mia presenza e vengono a farmi visita, o meglio vengono a guardarmi. Di solito le modalita' sono le seguenti: si siedono accanto a me e dopo aver chiesto se parlo la loro lingua, rinunciano a discorrere e si limitano ad osservarmi meticolosamente.
A volte sorridono, altre volte mi guardano serie ed attente. Spesso mi sento in imbarazzo ma cerco il piu' possibile di non darlo a vedere.
In ogni caso dopo qualche minuto si alzano, mi danno l'ultima occhiata di controllo e se ne vanno soddisfatte della loro scoperta.
Tuttavia, ci sono volte in cui sono piu' fortunata poiche' vengono a farmi visita delle donne che parlano un pochino l'inglese. Pero' questa e' anche una situazione potenzialmente problematica e difficile da gestire, perche' sono costretta a rispondere alle loro domande sulla mia vita privata (e qui il confine tra il curioso e l'invadente e' molto sottile). E spesso devo stare attenta a cosa dico perche', sure enough, tutto il quartiere lo verra' a sapere nel giro di poche ore. Le domande sono sempre le stesse: sei sposata? da quanto tempo? matrimonio d'amore o organizzato dalla famiglia? Ovviamente devo sempre rispondere si' alla prima domanda ma non capisco se le mie risposte a quelle che seguono deludono o meno il mio interlocutore...

domenica, agosto 20, 2006

16 Agosto
Bazar

Ancora preoccupata per la bambina, esco di casa con mia zia, alle 10 del mattino, per andare al bazar (il mercato del cibo).
Sono contenta perche' finalmente posso portare la mia borsa con gli obbiettivi e la macchina fotografica.

Per prima cosa, dopo aver pagato il rickshaw, ci avviamo verso lo spazio in cui si trovano i banchi del pesce.
Il bazar sembra molto grande ma sono stordita dagli odori e dai colori.
Comincio a scattare foto e mi accorgo che molti venditori vogliono essere fotografati con i loro prodotti.
Li accontento, sollevata dal fatto di non doverli fotografare di nascosto.
Ci fermiamo a dare un'occhiata al pesce. I mercanti sono disposti l'uno accanto all'altro, seduti al centro di un enorme gazebo, il cui tetto, in legno e canne di bambu', comprende delle reti, legate alle due estremita', contenenti scodelle e contenitori.

Mia zia non sembra convinta di voler acquistare subito ed iniziamo a dirigerci verso un'altra zona. Stavolta compriamo degli scampi e mentre negoziamo il prezzo sento che alcuni si fermano e chiedono chi sono.
Mi zia sembra irritata mentre a me viene da ridere..Non me ne curo e continuo ad osservare.
Dietro di me ci sono dei piccoli banchi che vendono spezie, lenticchie e riso. Sono contenuti in sacche bianche ed e' un vero piacere fotografarli.
Poi ci dirigiamo verso la zona della frutta e della verdura. E' un'esplosione di colori.
Il ragazzo dal quale acquistiamo e' molto gentile e ha un'aria di sincera cordialita'. Mentre mia zia e sua sorella fanno acquisti ne approfitto per scattare altre foto, con la grande felicita' di tutti.
Per determinare i prezzi il ragazzo utilizza una bilancia vecchio stile: due piatti sistemati alle estremita' di una corda, legata ad una sbarra. Su un piatto si posiziona il prodotto e sull'altro un peso (un pezzo di ferro quadrato con delle incisioni).

Adesso iniziamo ad essere piene di borse e sacchettini e vedo mia zia mentre si rivolge ad un ragazzo, un collega del venditore di verdure. Dopo qualche parola lo vedo caricarsi dei nostri pacchetti. Ci seguira' fino a casa e verra' pagato poco piu' di 1 euro.

Ora e' il turno della carne. Entriamo in uno spazio semi-coperto, con un fortissimo odore di pollame. I galli sembrano troppo tranquilli e sono disposti dentro ceste di paglia.
Sotto lo stesso gazebo si trovano anche carni gia' macellate. Assisto all'acquisto: 4 galline vive che vengono portate via dal ragazzo.
Cerco di non pensare che sono le stesse che trovero' nel piatto per cena....

16 Agosto
Gli occchi della speranza

Ero decisa a scrivere tutto subito, ma poi ho preferito aspettare un pochino perche' avevo ancora il cuore appesantito dalla tristezza.
Siamo andate a trovare la moglie del fratello di mia zia e la sua bambina appena nata. Inizialmente mia zia era reticente nel portarmi all'ospedale ma poi ha cambiato idea.

Non sapevo cosa aspettarmi e continuavo a chiedermi, mentre il rickshaw sfrecciava fra la folla, se le condizioni della struttura mi avrebbero delusa o meno. Speravo, con il tutto il cuore, che la bambina ricevesse tutte le cure del caso.

Poi, eccoci arrivati davanti alla struttura. Noto subito un cartello grandissimo raffigurante un'infermiera e un bambino adagiato su un lettino mentre riceve delle cure. Si tratta di un disegno enorme.
Dopo aver attraversato il cancello, sulla destra scorgo un'ambulanza e leggendo il cartello mi accorgo che si tratta del servzio che si occupa dei "morti o malati non reclamati". Senza parole, seguo le due donne che mi accompagnano.
Un ragazzo ci viene incontro e ci fa strada.

Metto piede dentro l'ospedale e subito mi sento turbata dall'odore malsano che non posso definire. Mi guardo intorno e cerco di captare il piu' possibile per imprimerlo nella mia mente.
Mia zia si gira verso di me e di mi dice "questo e' l'ospedale dei poveri".
Mi sento a disagio ma voglio osservare con attenzione.
Ancora una volta tutti mi guardano straniti mentre attraverso i corridoi. Passiamo accanto a delle piccole stanze: all'interno delle infermiere, vestite con il tipico camice bianco e cappello ripiegato, scrivono sui dei quaderni. Accanto a loro ci sono degli armadi di legno e io mi chiedo se contengano medicinali.
Un'infermiera esce e mi osserva.
Per un attimo mi distraggo e poi entriamo in una camerata, che in realta' e' un corridoio adibito ai malati. Ci sono una ventina di letti e tutti danno verso le finestre aperte. Il caldo e' insopportabile, e anche l'odore.
I letti sono posizionati a poca distanza l'uno dall'altro. Le flebo sono legate ad un unico filo che attraversa tutta la stanza. Sul pavimento ci sono persone (forse in visita a parenti e amici), ciotole per il riso e altri detriti.
Capisco subito che le condizioni sono paurosamente precarie. Non soltanto il pavimento presenta angoli ammuffiti, i letti sono adagiati su ferri arrugginiti e le lenzuola sembrano essere li' da anni.
Non c'e' posto per tutti e molte mamme devono dividere il loro letto con i figli, intubati.

Lasciamo la stanza e attraversiamo un altro corridoio. Sono sempre piu' triste. Ingenuamente mi dico "voglio tornare qui un giorno e cambiare le cose". Sono pensieri di un'idealista e forse rimarranno solo parole ma non posso accettarlo.

Giungiamo finalmente nella camerata dove si trova la moglie di mio zio.
E' lunga e ci sono letti da entrambe le parti, separati da un piccolo corridoio per permettere il passaggio.
Anche qui ci sono persone ovunque e le condizioni sono precarie.
Vicino ai letti ci sono dei mobiletti in ferro arruginito e sopra altre ciotole per il riso.
Arrivano delle donne e distribuiscono altri contenitori. Poi vedo arrivare un grosso carrello con una pentolona di riso bianco.
E' l'ora della cena. Alcuni si alzano e si mettono in fila. L'addetta alla distribuzione versa il riso nella ciotola e un'altra versa sopra il condimento.
Riconosco il fratello di mia zia seduto su un letto sulla sinistra. Accanto a lui siede sua moglie, che guarda in basso e sorride teneramente.
Mi avvicino di piu' al letto e scorgo un esserino fra gli asciugamani e le lenzuola. Mi abbasso e mi sporgo per guardarla meglio: e' piccolissima, non pesera' neanche due kili. E' intubata alla meglio con una piccola cannuccia nel naso. Sulla testa dei cerotti formano una croce.
Sembra stia dormendo tranquillamente e le sue manine tenere e piccole formano dei pugnetti.
E' nata prematura ma nessuno sa ancora di quanti mesi poiche' la madre non sa di quanto fosse avanzata la gravidanza.
Osservo la mamma: e' visibilmente stanca ma ha un viso bellissimo. Mi saluta con un cenno e credo sia troppo esausta per farmi domande. Vorrei chiederle come si sente ma poi preferisco lasciarla in pace. Ha qualcosa negli occhi, un'espressione di timidezza e di forza che mi mettono a disagio.

Non riesco a fare a meno di guardami intorno e poi mi riconcentro sulla piccola. E' cosi' bella ed indifesa. La sua vita e' appesa ad un filo. Mia zia mi dice con rassegnazione "non si sa se vivra'". Non posso accettarlo. Se fossimo in una struttura piu' adeguata sono certa che starebbe bene.
Mi vengono le lacrime agli occhi ma cerco di ricompormi e non darlo a vedere.

Dopo qualche minuti ce ne andiamo e percorriamo il tragitto verso l'uscita. Sono attraversata da una sensazione di disperazione e di rabbia mentre guardo tutte queste persone. Poi pero' comincio ad ordinare le idee e a pensare da dove si dovrebbe cominciare per migliorare le cose..

15 Agosto
Sotto Market con treno

Dopo qualche giorno d'assenza, rieccomi di nuovo nell'abituale internet cafe' per tenervi aggiornati sulle mie peripezie in Bangladesh.

Non ci credevo finche' non l'ho visto. Sul rickshaw mia zia ha accennato ad un posto vicino ad un treno ma non ci eravamo capite molto bene. Io pensavo fossimo dirette verso un luogo accanto ad una stazione ferroviaria. Poi, invece, eccoci arrivate. 10 Taka al rickshaw e comincio finalmente a capire. Si tratta del mercato delle stoffe e si tiene sui binari!
Subito dopo sentiamo un forte rumore, un fischio e poi eccolo: il treno rallenta per passare tra i banchi colmi di stoffe di tutti i tipi e colori.
Sono incredula..
Mi fermo ad osservare il treno ed inizialmente non me ne rendo conto: e' stracolmo di gente. Ci sono persone attaccate alle maniglie ma anche SOPRA il tetto del convoglio.

Senza parole guardo mia zia e la seguo. Iniziamo il nostro giro tra i bachi e poi finiamo con il sederci davanti al "negozio" di due giovani. Soltanto i ripiani sono al coperto e sono pieni di stoffe di tutti i colori.
In quel momento rimpiango di non aver portato con me la macchina fotografica (a causa del fatto che pensavo fossimo di nuovo dirette al New Market). Ma torneremo, penso speranzosa.

Siamo sedute nella parte esterna e davanti a noi un'esplosione di colori. Sono frastornata. I ragazzi mi parlano ma poi i zia li informa che non li capisco e cosi' iniziano a mostrarmi stoffe e sete di vari colori.
Non so cosa scegliere e alla fine compro due set di stoffe che serviranno alla preparazione di 2 vestiti (il famoso 3 piece), composti da camicia, pantaloni e sciarpa in tinta. Il tutto per la cifra di 600 Taka (equivalente di 7 euro).

Felice dell'acquisto, mi accorgo che si sta gia' facendo buio e io non ho messo l'antirepellente. In ogni caso ci alziamo e ci dirigiamo verso la strada dove molti rickshaw attendono i clienti.
Ormai sono abituata al tragitto tortuoso e anche agli sguardi curiosi delle persone.
Torniamo a casa per cena e cedo i miei acquisti all'amica sarta che provvedera' a cucirli.

Mentre scrivo sul taccuino, mia zia mi chiama preoccupata. La moglie di suo fratello ha avuto una bambina. Ha partorito in casa ma ci devono essere state delle complicazioni cosi' ora la portano all'ospedale. Sono passate circa 7 ore dal parto.
E mentre mi descrive la situazione, un fortissimo tuono ci interrompe. Ecco il primo vero temporale tropicale di questi giorni.
Beh, dopo tutto e' la stagione delle piogge.....



martedì, agosto 15, 2006

12 e 13 agosto

E’ dura adattarsi al clima, ma devo dire che lo e’ meno del previsto. I giri sul riscio’ sono quasi piacevoli da quel punto di vista.

L’esperienza del mercato e’ un must: non si puo’ venire qui senza andare al mercato. Oggi siamo dirette al New Market. Sono accompagnata da mia zia e da suo fratello. Il New Market e’ cosi’ chiamato perche’ qui le bancarelle sono parzialmente al chiuso (e alcune con aria condizionata). Ci sono anche dei sedili per I clienti che vogliono fare acquisti. E’ difficile non fare caso allo sguardo della gente ma il fatto di essere accompagnata da persone del posto mi fa sentire meglio e mi permette di non preoccuparmi troppo dei commenti.

Molti commercianti chiedono di dove sono.

Finalmente ci fermiamo davanti alla bottega di un orafo. Ci sediamo davanti alla vetrinetta e mia zia mi dice di scegliere un design per un set di collana e orecchini d’argento. Saranno confezionati a mano e ci vorra’ una settimana circa.

Riflessioni piu; profonde mi sono state ispirate durante il viaggio a Dhakaper andare a recuperare il mio bagaglio smarrito.

Percorrendo le campagne dove gli aratri sono ancora trainati da buoi e dove nelle risaie il lavoro e’ lentamente scandito, mi sono accorta che ci vorra’ ancora del tempo prima che il mio sguardo possa essere completamenet obbiettivo. Non si puo’ restare indifferente di fronte ai bambini che bevono acqua fiume. Non si puo’ restare a guardare senza pensare che si deve fare qualcosa, di fronte ad intere famiglie che vivono in baracche di fortuna in riva a fiumi e stagni. Non si puo’ passare di fronte ad un ospedale in costruzione e poi sapere che qui si muore ancora di colera. Come mantenere lo sguardo obbiettivo quando le donne muoiono di emoraggie dopo il parto perche’ I mariti non vogliono portarle dal medico?

Come restare indifferente quando si ascolta il racconto di mia zia che mi descrive l’usanza locale di asportare gli organi ai morti per poi venderli? Me lo racconta quasi con normale rassegnazione pur sapendo di parlare di una sua parente, morta recentemente, che lascia uno splendido bimbo di un anno che a mala pena cammina.

E mentre noi abbiamo a disposizione aria condizionata, telefono, letti comodi, vestiti puliti, acqua corrente e potabile e 5 o 6 “aiutanti” che lavano, stirano, cucinano, sotto I nostri occhi la realta’ cambia drasticamente appena usciamo di casa.

11 agosto

Vengo svegliata alle 9 del mattino da mia zia. Vado a fare colazione: pane arabo soffice ancora caldo e uova fritte con peperoncino verde. Il pane va spezzato e con le dita si deve prendere la frittura. Niente male.

Non ancora avvezza al sistema mi alzo per riporre il mio piatto nel lavandino. Vengo subito fermata da una delle nipoti che me lo toglie di mano.

Scendo al piano inferiore per curiosare e vado a sedermi vicino a due ragazze intente nellla selezione del riso. Bisogna separare I chicchi scuri da quelli utilizzabili. Nel frattempo un’altra donna pela le patate con una lama poggiata a terra.

Vengo richiamata in una stanza dove mi fanno sedere e una ragazza comincia a pettinarmi. La lascio fare e poi le sorrido ringranziadola.

Sono stordita da tutte queste riverenze e non sono a mio agio.

Devo prepararmi per andare in banca a cambiare I soldi. Indosso un tipico vestito indiano: camicia bianca lunga fino alle ginocchia con fiori rossi ricamati, pantaloni larghi di cotone bianchi e sciarpa in tinta da appoggiare al petto per coprire le forme.

Mi incammino con Nani. Non c’e’ modo di capirsi: andiamo a gesti. Una donna si ferma e mi guarda con fare insistente. Nani le parla e la manda via.

Arriviamo al fondo della strada dove ci sono 3 riscio’ allineati. Nani mi fa cenno di salire. Ho l’impressione che sia pericolante ma poi mi ricredo. Sale anche lei e indica la direzione al ragazzo che inizia a pedalare.

Attraversiamo le strade trafficate e poi inbocchiamo la via del bazar, il mercato del cibo.

Mi rendo conto sempre di piu’ delle precarie condizioni di vita di questa gente.

Arriviamo ad un incrocio dove una guardia dirige il traffico tra I riscio’. Sorrido divertita dalla scena. Scendiamo li vicino e do al ragazzo 10 Taka (circa 12 centesimi). Nani comincia ad inveire contro di lui e vedo che riceve in cambio 3 monete. Forse 10 Taka era una tariffa troppo alta? Non potendo intervenire la lascio fare.

Attraversiamo la strada e ci rendiamo conto che la serranda e’ abbassata. Solo dopo realizzo che oggi e’ venerdi’ e che questo e’ un paese musulmano…E poi la preghiera del mezzogiorno me lo ribadisce.

Arrivo Dhaka - 10 agosto


Non c’e dubbio: sono davvero in un mondo parallelo.

E’ difficile guadare a questa realta’ con gli occhi di un’occidentale ed e’ ancora piu’ difficile abituarsi agli sguardi di questa gente, evidentemente nno abituata ad avere nel loro steso villaggio una straniera, bianca per giunta.

Durante I vani tentativi di prendere sonno, sono arivata alla conclusione che scrivere e; una corsa contro il tempo: devi mettere tutto sul foglio prima che le parole lascino la mente e ti sfuggano. Soprattutto quando hai tante cose da dire. Voglio comunque tentate di farvi percepire le mie sensazioni da questo luogo cosi’ lontano e cosi’ diverso.


L’aeroporto di Dhaka, come tutti gli aeroporti, e’ un luogo di passaggio e quindi non rispecchia fedelmente la cultura del luogo. Nonostante la mia valigia sia rimasta Dubai, non mi sono fatta roinare la giornata e dopo aver fatto la denuncia mi sono diretta fuori dal terminal.

Una volta uscita questo mondo si e’ mostrato in tutta la sua follia e normalita’.

Sono spettatrice, non di cose stra-ordinarie, ma di normalita’ ed ordinarieta’. Ed e’ questo che vale la pena descrivere.

La temperatura tropicale, l’umidita’ insopportabile, il sole picchiante sono solo un contorno.

Appea uscita sono stata subito circondata da donne (meglio dire ragazzine) che chiedevano la carita’. Non sapendo come fare mi sono guardando intorno cercando il viso conosciuto di mia zia. Finalmente la trovo e mi conduce alla macchina che ci aspetta.

Le auto qui sono poche e sono sempre afittate da gente ricca che si puo’ permettere di pagare 5000 Taka per un autista, e I rickshaw (riscio’) la fanno da padrona su queste strade (rasta).

Dhaka e’ la capitale del paese, una grande citta’ caotica e caldissima.

E’ dura scendere dall’auto ed entrare nei negozi (dove abbiam fatto scorta di viveri occidentali), senza fermarsi increduli a notare le condizioni precarie nelle quali vivono queste persone. Tra un negozio e l’altro, tutti gli sguardi sono fissati su di me. Tutti vogliono che entri nel loro negozio di vestiti, artigianato, di frutta. Mi rendo subito conto che questi negozianti godono di un certo relativo benessere poiche’ le botteghe sono al coperto, con aria condizionata.

Ma una volta usciti un ragazzina a piedi scalzi e vestita con una tunica rossa, mi si avvicina e chiede la carita’. Per un attimo, prima che mia zia la mandasse via con voce decisa, ho incontrato il suo sguardo e mi sono sentita in colpa. Non so come funziona qui…non so come comportarmi ma vorrei aiutarla. E’ poco piu’ di una bambina.

Il mio sguardo da occidental fatica a confrontarsi con questa realta’, una realta’ che potevo solo immaginare.

La ragazzina continuava a seguirci e cosi’ mia zia le ha detto che, se voleva parlare con me, avrebbe dovuto farlo in inglese. Cosi’ uscirono dalla sua bocca parole come “Please, Madame, money”. Aveva paura, quasi il terrore di guardarmi. Avrei voluto fare qualcosa ma venivo trascinata da un negozio all’altro. Qui I prezzi sono fissi. Mia zia comincia ad indicare ad un commeso I prodotti desiderati mentre un altro scrive laboriosamente quantita’ e prezzi su un foglio di carta.

Mi sento spaesata e stanca ma la curiosita’ e’ piu’ forte. Ascolto I loro discorsi senza capire una parola e dalla finestra guardo la bambina che corre dietro ad un carro di legno trainato da un bue.

Usciamo dal negozio e ce ne andiamo con l’auto carica di scatole.

Mentre il nostro autista si fa strada strombazzando fra riscio’, bici e auto guardo le vie trafficate della citta’. Ovviamente non esistono regole della strada: riscio’ contro mano, autobus decadenti carichi di gente anche sopra il tetto. Piu’ di una volta ho pensato che ci saremmo trovati In un incidente. Ma poi ho capito che e’ il loro modo di guidare: suonano il clacson in continuazione per far spostare I riscio’ sulla destra e le auto contromano.

E’ il caos. Guardo fuori con un misto di stupore e curiosita’ di chi vede questo mondo per la prima volta.

Incontro gli occhi dei passanti e tutti mi osservano stupiti e curiosi. E’ strano. Surreale.

Poi l’auto si allontana piano piano dalla citta’ e dai suoi dintorni. Incontriamo molti animali : mucche, pecore, tori. Sono sul ciglio della strada accanto ai loro padroni.

Poi cominciano il verde dei campi e le infinite risaie. Andiamo in aperta campagna. Ci sono solo poche abitazioni e gli abitanti si muovono in riscio’e ci osservano mentre sfrecciamo in mezzo a loro. Siamo tre passeggeri: io, mia zia Laily (originaria di qui), suo fratello ed una sua amica che fa la sarta. Quest’ultima, che ha un figlio bellissimo, e’ gentile e mi sorride sempre. Ho voglia di parlare con lei, di farle tante domande. Ma la barriera linguistica e’ imponente e lei non parla inglese, se non per qualche parolina.

Devo quindi rassegnarmi, per ora, ad ascoltare e a lasciare a mia zia l’onere di tradurre quando la cosa mi riguarda. Lei nutre molte speranze nei miei confronti ed e’ certa che imparero’ in fretta la lingua, confortata dall’esempio dei suoi due figli. Non pensa pero” ad una piccola differenza: I miei cugini vengono qui tutti gli anni da quando sono nati.

Sulla strada per Bogra, un tragitto di 4 ore, ci fermiamo a pranzare. Il ristorante si chiama “The Aristocrat” e ho notato che e’ un nome comune fra I ristoranti qui.

L’esterno e’ composto a un parcheggio, dove una decina di guardie armate ci aprono le porte e sorvegliano le auto. Entriamo nel ristorante.

Prima di sederci, pero’, mia zia vuole usufruire del bagno. Cosi’, sperando di poterlo utilizzare, la seguo. L’impatto mi delude: nonostante la struttura in finto marmo scuro abbia un aspetto decente, l’odore e’ insopportabile. C’e’ una signora scalza che passa una specia di scopa bagnata sul pavimento sporchissimo. Si aiuta con I piedi ma non credo stia usando un detergente..

Mia zia utilizza la toilette ma io non mi sento altrettanto coraggiosa.

Ci sediamo. Il ristorante e’ molto grande, composto da una struttura a due piano con tavoli e sedie di metallo. Prima di ordinare riso con pollo e vitello dobbiamo lavarci le mani. So gia’ che il rito e’ a causa del fatto che si mangia con le mani. Non credo che riusciro’ a farlo (almeno non oggi) ma li seguo ugualmente. Il lavatoio si trova al fondo della sala ed e’ sempre in pietra lucida scura. Ci sono 4 lavandini con saponetta e utilizziamo il nostro piccolo asciugamano.

Ordiniamo il cibo: il riso bianco sara’ servito in centro tavola su un vassoio molto grande mentre il condimento (pollo e vitello in salsa piccante) si trovano in piccoli piatti fondi. Il cibo nno mi preoccupa: anni di cucina di mia zia mi hanno preparata a questo momento e quindi so esattamente cosa sto per mangiare.

Faccio buona impressione perche’ mangio tutto quello che ho nel piatto.

Dopo aver pagato ripartiamo per Bogra.

Ad un certo punto ci fermiamo per pagare il pedaggio ( 500 Taka, 5 euro) per poter attraversare un ponte che collega le sponde di un fiume molto ampio. Mentre lo percorriamo mia zia mi racconta che questa struttura moderna esiste da poco tempo. Prima si doveva prendere un ferry ed il tragitto durava molte ore.

Percorriamo paesini e villaggi ed il panorama si fa sempre piu’ verde.

Passiamo davanti ad un ospedale ancora in costruzione e alla sede della Croce Rossa (o meglio, della Mezza Luna Rossa).

Poi finalmente eccoci a Bogra: una citta’ importante per la zona. MA lo scenario e’ lo stesso di Dhaka: riscio’ ovunque, fango, mercanti che vendono polli, galline, pecore.

Ci addentriamo con l’auto tra gli sguardi della gente e giriamo a destra in una stradina. La macchina si ferma davanti ad un cancello blu e noi scendiamo.

Stordita dallo sbalzo di temperatura mi giro con l’intenzione di recuperare le mie cose ma vengo subito fermata. Cosi’ mi dirigo verso la casa e vedo una signora magra e di una certa eta’ che mi viene incontro sorridendo. E’ la mamma di mia zia, che io chiamero’ Nani.

Mi bacia le mani e mi prende per mano conducendomi dentro casa. Mi porta davanti ad una scala e mi fa cenno di non togliermi le scarpe (cosa che invece lei fara’). Saliamo due piani e arriviamo in una stanza molto grande con aria condizionata. C’e’ un letto sulla destra. E’ la stanza di mia zia, la quale mi raggiunge subito dopo e mi porta a farmi vedere la mia camera da letto (che condivido con mio cugino Andrea). La nostra stanza e’ molto spaziosa e climatizzata (non lo sono I piani inferiori). Ci sono due letti francesi divisi da un comodino e sulla destra ci soo una scrivania ed una porta che apre sul bagno.

La porta della camera da sulla sala da pranzo, dove c’e’ anche una TV con canali satellitari.

Quando torno nella stanza di mia zia mi accorgo che sul pavimento ci sono due delle mie borse e vedo una ragazza che si accinge a depositarne una terza. Ci sono altre 3 ragazze nella stanza. Chiedo a mia zia di presentarmele. Sono le sue nipoti e, come dice lei, “aiutano in casa”. In realta’ sono come delle cameriere: cucinano, lavano, stirano e accorrono ad ogni richiamo della padrona di casa. Vivono al piano inferiore, dove tutti questi comfort non esistono e cucinano in una zona apposita. Ovviamente mangiano tutte insieme al piano inferiore, ma solo dopo averci servito. Sono un po’ turbata da questa cosa..

Chiedo a mia zia I loro nomi. Ne tengo mente solo alcuni, tra cui “Minu”, la quale ha un viso che riconosco: l’ho vista nel video del suo matrimonio (combinato da mia zia). Sorrido a ciascuna di loro e una si nasconde timidamente.

Dopo la doccia mi infilo un lungo vestito di cotone (stile BUBU africano) e vado a dormire.

martedì, agosto 08, 2006

In partenza

Domani si parte! Da Milano con scalo a Dubai. Poi saro' catapultata in un mondo completamente diverso, circondata da famiglia e sconosciuti. Insomma..ci sono tutti gli ingredienti per una bella esperienza. Al prossimo post, con le prime impressioni da Bogra.


giovedì, agosto 03, 2006

Preparazione alla partenza

I giorni prima di una partenza sono sempre ricchi d'ansia. Raccogliere informazioni per essere sicuri di avere tutto, ma proprio tutto, risulta sempre difficile. Se non altro saro' fra gente di casa, una volta arrivata.
Sotto esplicita richiesta sto facendo preparare 3 kili di caramelle da distribuire ai bambini. Se solo bastassero le caramelle...In ogni caso non vedo l'ora di tuffarmi nella cultura del Bangladesh, con la quale, in un certo senso, convivo già da molto.

Non assicuro di scrivere tutti i giorni ma provero' a recarmi al famoso internet café (che, sembra, si trovi vicino a dove staro'), per tenere aggiornati quanti leggeranno questo blog sulla mia esperienza a Bogra.

lunedì, luglio 31, 2006

Sito in costruzione: tornate a trovarmi presto